Baciccia// il passaggio di testimone

Lui mantenne la promessa.

Lo aiutò il fatto di lavorare nella ceramica: come base, riprese le vecchie forme in gesso, le rimodellò, ma lasciando intatto quello spirito antico. Far le figurine furono tante cose insieme per lui e per mia mamma Maria che, finché visse, lo aiutò, dipingendole. Certamente un importante aiuto alla magra economia familiare, ma c’era anche un fortissimo attaccamento a quelle statuine che lui, come altri albisolesi della sua generazione, aveva cominciato a realizzare fin da bambino, in casa, imparando da sua madre Rosetta. Un giorno era arrivato a casa con un gran scatolone di stampi di gesso. Era il dono-eredità della zia Beatrice, che lo aveva caldamente esortato:

Baciccia, tu devi continuare”. Lui non aveva esitato un attimo.

Non c’era solo una tradizione da salvare, ma anche la possibilità di guadagnare qualcosa, se ci fossero stati clienti. Non sono mai mancati e quell’attività è durata anni. I pastui hanno segnato, per anni, i Natali di tutta la nostra famiglia. Papà, con la creta, plasmava le figure; la mamma, che in gioventù era stata pittrice, le dipingeva. Venticinque statuine ogni presepe, centinaia e centinaia di pezzi, che richiedevano gran parte dell’anno per realizzarli. E sono andate vie tutte. Mio padre, dopo la morte di mia madre, ha continuato a farle, creandole, modellandole e dipingendole: tutto da solo. Non ha voluto smettere, anche se l’entusiasmo non era più quello dei tempi in cui considerava questa attività come una piccola impresa di famiglia.
Di quella splendida ditta formata da mamma e papà, purtroppo, a noi figli, è rimasto solo il ricordo e neppure una statuina (io e mio fratello Mario ne abbiamo salvato solo alcune di dimensioni più grandi del normale): mai più avremmo potuto immaginare che quello del 1974 sarebbe stato l’ultimo Natale di mia madre. Per papà, negli ultimi anni di vita, fare i presepi era come un gesto di ringraziamento. Avrebbe potuto anche guadagnare bene: si rifiutò di considerarlo un commercio. “Me demuo”, mi diverto, diceva, scrollando le spalle. Ne faceva pochi ogni anno, per accontentare gli amici o per rispondere alle richieste più pressanti. Papà è morto due giorni dopo il Natale 1988. Lui ha avuto l’opportunità di vedere riconosciuto il valore di ciò che aveva fatto. Suoi presepi hanno trovato collocazione in esposizioni permanenti, in Italia e all’estero; della sua opera hanno scritto giornali e riviste, non solo quelle di settore. Nel giugno 1989, sei mesi dopo la morte, sulla rivista de “Gli amici del presepio”, così lo ricorda Ermanno Cavalli:

"G. B. Basso era l’ultimo anello di una lunga catena di figurinai. Non è stata certamente una produzione dozzinale la sua, come normalmente si pensa quando si parla di stampi. Due figurine, pur ricavate dallo stesso stampo, messe a confronto, racchiudono un sentimento diverso. Baciccia è stato anche un grande divulgatore del presepe nell’arte e nella tradizione. Con la sua morte scompare definitivamente una tradizione che si perde nel tempo”.

Per fortuna non è stato così. Anche papà ha lasciato qualche scatolone di forme di gesso. Si trovavano nel laboratorio che Ernesto Canepa e Anna Maria Pacetti gli avevano lasciato a disposizione nella fabbrica di ceramiche (Pacetti, poi diventata Ernan) in cui aveva lavorato una vita prima di andare in pensione. Quegli stampi che i titolari della fabbrica con grande correttezza ci hanno restituito, hanno rappresentato un ulteriore passaggio di testimone.